I Lunedì del Laboratorio. Le elezioni europee alla vigilia della guerra mondiale.

Futuro premier di un governo “responsabile”?

Di Simone Lombardini.

Alla vigilia delle elezioni europee lo scenario mondiale non potrebbe essere più caotico e diviso. La guerra al mondo multipolare portata avanti dagli Usa e i suoi rampolli (tra cui l’Italia) ha raggiunto modalità inedite e di portata epocale. In questi ultimi 5 anni, in coincidenza con l’Euromaidan ucraino, l’escalation militare contro la Russia e la Cina si è inasprita al punto che alla Russia sono state rinnovate sanzioni economiche continue da tutto l’Occidente ed è incominciata una martellante campagna mediatica tesa a mostrare la Russia come la patria delle illiberalità, dell’omofobia, del militarismo espansionista, degli attacchi informatici alle società libere del democratico Occidente e così via. Dall’altra parte, gli americani hanno iniziato a condurre la guerra commerciale più grande della Storia contro la Cina, imponendo dazi punitivi per oltre 200 miliardi di dollari l’anno, nel tentativo di indebolire la crescita del Dragone andata ormai totalmente fuori controllo. Nel frattempo, sul versante strettamente militare, la NATO si è espansa ad Est inglobando le tre repubbliche baltiche al confine con la Russia e quasi tutte le potenze del vecchio Patto di Varsavia. Ultima arrivata è l’Ucraina che recentemente, dopo il colpo di stato nazista orchestrato dalla CIA, ha ratificato un emendamento che inserisce nella sua costituzione l’appartenenza alla NATO. Il 2 febbraio scorso, Mike Pompeo, segretario di stato americano, dichiara l’uscita unilaterale degli USA dall’INFT (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) e da questo ottobre in tutta Europa saranno schierati missili atomici a medio e corto raggio puntati contro la Russia. In Svezia, paese partner della Nato anche se ufficialmente “neutrale”, è stato distribuito a 4,8 milioni di famiglie un manuale di sopravvivenza su come prepararsi alla guerra, reintroducendo la leva obbligatoria[1]. Similmente già la Germania dal 2016 ha preparato un piano governativo che suggerisce ai suoi cittadini di farsi una scorta di almeno due litri di acqua per cinque giorni e di cibo per dieci, nel caso di guerre o cataclismi. Ma erano previste anche “misure” per la difesa e il consolidamento degli edifici, oltre alla segnalazione di sistemi di allarme rivolti alla popolazione[2]. Il 9 maggio di quest’anno, in occasione della commemorazione Russa della resa nazista, 13 paesi della NATO hanno condotto una esercitazione militare a cielo aperto, durante il giorno, a Sillamäe, una cittadina abitata dell’Estonia (senza evacuarla) sparandosi per le strade e terrorizzando gli abitanti[3]. Infine, a novembre dell’anno scorso, arriva un documento ufficiale bipartisan americano, il Providing for the Common Defense dove gli Stati Uniti affermano che è in corso la preparazione per una guerra “imminente”, che “coinvolgerà l’intera società” e che avrà effetti “devastanti” sulla popolazione americana[4]. Il documento si spinge a descrizioni di impressionante realismo sugli effetti militari e civili di una tale guerra, dove gli Stati Uniti “dovranno fronteggiare combattimenti di una difficoltà senza precedenti e perdite immense, inconfrontabilmente più grandi di ogni esperienza bellica già affrontata” e concludono: “non si può escludere nemmeno che la guerra contro la Russia e la Cina potrebbe anche essere perduta”. Il documento si conclude poi con 5 scenari in ciascuno dei quali la strategia è sempre la stessa di Pearl Harbour: provocare una reazione dell’avversario tale da giustificare un attacco NATO.  E a ciascuno scenario assegnano 5 date, la più lontana delle quali è il 2024.

Fa particolarmente specie come in tutto il dibattito nostrano sulle elezioni europee non si parta mai dalla situazione internazionale; in realtà non la si sfiora nemmeno proprio mai. Complice forse la sciagurata allucinazione di chi crede che possiamo decidere a casa nostra liberamente e indipendentemente dal resto del mondo. Nulla di più falso e lontano dal vero. L’Italia, lo ricordiamo una volta di più, ha 113 basi militari sul proprio territorio. Recentemente, sotto il governo Renzi (All’art.7 bis della Legge n. 198 2015), ha addirittura trasferito la base di comando delle sue forze di intelligence DENTRO la base militare americana di Camp David. Non c’è generale delle forze armate che non sia stato concordato prima con gli americani e non c’è guerra sporca che loro hanno iniziata in cui noi non abbiamo partecipato o contribuito. La mafia del Sud, dal secondo dopoguerra, è stata creata e spalleggiata sempre da loro, sempre dalla NATO, per impedire lo sviluppo del territorio e trasformarlo nella più grande base di comando strategico al mondo fuori dal territorio USA (MUOS). Infine la strategia della tensione che ha ucciso, gambizzato, terrorizzato gli italiani, è stata la strategia della CIA che controllava, irreggimentava e finanziava le Brigate Rosse per impedire un governo DC-PCI, epoca politica finita poi nel sangue di Aldo Moro e nella dissoluzione del PCI.

Insomma, insistere come fanno i media mainstream a fare scenari e analisi partitiche (e mai politiche) omettendo questo “piccolo” particolare che siamo una colonia americana, rende tutta la loro narrazione una farsa gigantesca, perché parte da presupposti errati (l’idea che in questo paese possiamo decidere alcunché). Se allora siamo così strettamente legati da questo amore mortifero con gli USA e se gli USA stanno preparando la guerra mondiale entro il 2024, la geopolitica dovrebbe essere il punto di partenza di qualsiasi analisi sullo stato dell’arte della politica italiana.

La prima considerazione è quindi che gli USA hanno fretta, sentono che ogni giorno che passa i suoi nemici si rinforzano mentre loro si indeboliscono. Se la guerra è così vicina, come tutti questi eventi e documenti ci suggeriscono, allora una priorità americana di questo momento deve senz’altro essere il mantenimento di una unità granitica tra i suoi alleati, specialmente quelli in Europa. Per lanciare questo attacco alla Russia e alla Cina, infatti, gli americani avranno bisogno di tuto il supporto tecnico, organizzativo, militare e logistico dei paesi europei. Non permetteranno che la struttura europea si spacchi proprio in questo momento, pertanto continueranno a sostenere il processo di (dis)integrazione degli stati europei opponendosi alle spinte centrifughe che coinvolgono ormai un numero sempre maggiore di paesi. Non è un segreto d’altronde che l’ondata di populismi sia vista come un pericolo dalle élite dominanti, un problema che sta già dando loro parecchio filo da torcere a casa propria, con l’inaspettata elezione di Trump.

Tuttavia, in seno a questa grande battaglia degli USA contro il mondo multipolare, Francia e Germania, un po’ in sordina, come sempre accade in queste circostanze, hanno impresso un nuovo corso alla storia europea, un progetto che le porterà, nei loro piani, a una progressiva autonomizzazione dagli USA in favore della nascita di un nuovo polo imperialista separato. Il 22 gennaio 2019 Francia e Germania firmano congiuntamente, in un’azione tutta loro che non ha nemmeno coinvolto gli altri paesi dell’UE, il trattato di Aquisgrana (Treaty on Franco-German Cooperation and Integration). Con tutta probabilità questo accordo verrà ricordato come l’inizio della fine per l’Unione Europea. La Merkel e Macron, entrambi minacciati da una crescente impopolarità e di fronte al malcontento popolare generale verso questa Europa liberista, che nulla ha da offrire in termini di diritti sociali alle nuove generazioni, hanno deciso di saltare giù dalla barca e di farlo per tempo, prima che sia troppo tardi. L’attuale Europa, già dominata dagli interessi franco-tedeschi, crollerà e i primi a crederlo sono proprio questi due paesi, firmando questo accordo. Francia e Germania ad Aquisgrana, infatti, hanno firmato un documento in cui si impegnano a diventare una sorte di unica grande potenza, prevedendo uno sviluppo economico sempre più integrato tra di loro, sino a una dottrina militare del tutto autonoma rispetto alla NATO. Si stabilisce che Francia e Germania torneranno addirittura a produrre armi per sostenere questo nuovo esercito comune. Nell’accordo si sancisce anche la rappresentanza congiunta di Germania e Francia in tutte le sedi internazionali. Le ragioni dell’accordo sono essenzialmente due: da una parte Francia e Germania sono molto scontente dell’alleato americano, e questo non dipende solo da Trump; i problemi erano cominciati già sotto Obama quando gli USA decisero di aprire un nuovo fronte bellico in Ucraina, a ridosso dell’Europa, costringendo poi gli alleati a sanzionare pesantemente la Russia. A questo poi si aggiungano i dazi americani sulle importazioni di acciaio e certi alimenti e prodotti che ufficialmente volevano colpire Russia e Cina ma in realtà hanno avuto effetti soprattutto sulle economie europee (una ritorsione per aver rigettato il TTIP). Infine, ricordiamo che l’amministrazione Trump sta progressivamente addossando i costi della NATO sui singoli stati membri dell’alleanza. Non ultima la proposta di Cost plus 50[5]. In secondo luogo il trattato di Acquisgrana è una risposta delle élite europee all’ondata di sovranismi-populismi e proteste che stanno crescendo e infiammando l’Europa intera. La risposta è doppia quindi: agli Usa il cui giogo è sempre più duro e ai populisti che arrivano. Da oggi l’Eurogendfor e il futuro esercito comune franco-tedesco avranno il compito di conservare l’ordine ordo-liberista e sganciarsi da un’alleanza divenuta ormai troppo onerosa. Questo gesto, inevitabilmente, modificherà il quadro complessivo europeo: una parte dell’Europa finirà sotto questo nuovo asse (Belgio, Olanda, Paesi Baltici, forse Romania, Bulgaria e Polonia), mentre gli stati rimanenti dell’attuale Europa andranno probabilmente ciascuno per i fatti suoi[6]. Il “sogno” della Grande Germania, di una Mitteleuropa potente e autonoma, il ritorno a un moderno Sacro Romano Impero, potrebbe ovviamente incidere anche sul nostro paese, portandoci in un paio di lustri sull’orlo della secessione, con un Nord che entra nella Mitteleuropa e un Sud lasciato a sé stesso. Ricordiamo a proposito la recente riforma che il governo vorrebbe attuare sull’autonomia rafforzata, proprio per le regioni del nord più produttive: Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia, che insieme valgono il 40,5% del PIL e 54,5% dell’export italiano.

Questo è il quadro generale di riferimento senza il quale qualsiasi valutazione politica risulta del tutto miope, inconclusiva, lontana dalla realtà. In questo scenario poi si possono finalmente inserire i problemi del nostro paese in connessione con le istituzioni europee.

L’Italia all’oggi ha perso completamente ogni sovranità. Non ha sovranità sul proprio territorio perché è disseminata di basi militari straniere. Non ha sovranità sulla moneta di uso corrente perché adotta una valuta straniera di cui non è proprietaria, di cui non può decidere nulla in termini di emissione e finanziamento (l’euro). Non ha sovranità militare perché il proprio esercito è una filiale dell’esercito americano con cui condivide le proprie sedi operative e le esercitazioni. Non ha sovranità parlamentare perché le leggi dell’Unione Europea sono vincolanti su quelle nazionali e in Europa le leggi (direttive) sono emanate esclusivamente dalla Commissione Europea, un organo di 27+1 membri, non eletti dai popoli.

Come corollario di questi quattro buchi di sovranità popolare, non ha nemmeno una politica estera autonoma. Nel frattempo, ci sono 6 milioni di poveri di cui nessuno si occupa; il sistema sanitario nazionale ha perso quasi 50.000 dipendenti negli ultimi 9 anni in conseguenza dei tagli continui e della mancanza di rinnovo del personale in favore dei privati; il sistema scolastico ha dovuto chiudere le scuole il sabato per risparmiare sul riscaldamento e da anni i fondi per la ricerca universitaria sono sistematicamente tagliati; il numero di precari, disoccupati, lavoratori scoraggiati e lavoratori part-time involontari tocca il 35% della forza lavoro; infine, non esiste un piano industriale, una strategia per il nostro paese e il suo futuro.

Qualunque partito che si presenti a queste elezioni, per affrontare degnamente questi problemi, non può prescindere, innanzitutto, dal riprendere in mano gli strumenti di sovranità che abbiamo perso e che sono essenziali per esercitare un reale governo del paese. Un partito che si dica sovranista e che non metta al centro del programma l’occupazione NATO del nostro paese è solo uno specchietto per le allodole. Purtroppo il panorama politico, a questo proposito, ci offre una situazione quanto mai povera.

Escludendo i partiti di nicchia che purtroppo non conteranno nulla in ragione degli attuali rapporti di forza, l’Italia è davanti a due opzioni. Dopo il 26 maggio o vinceranno i partiti che si richiamano ancora all’europeismo omicida (PD, FI) o verrà confermata l’attuale coalizione del governo del “cambiamento” (Lega-M5S), sebbene con proporzioni interne invertite. In entrambi i casi lo scenario è drammatico. Se vinceranno le forze più reazionarie ritorneranno le “riforme“ e la Macelleria Italia riaprirà i battenti. L’agenda globalista proseguirà il suo tragitto: si riconoscerà subito Guaidò, la russofobia sarà intransigente, quota 100 verrà cancellata così come il reddito di cittadinanza e la legge che penalizza i delocalizzatori, si apriranno i porti all’immigrazionismo forzoso e si continuerà con i tagli sulla sanità, la scuola e i diritti dei lavoratori. Diverso e più complesso è invece lo scenario che si profilerà se dovesse essere confermata l’attuale coalizione di governo, come è più probabile che accada. Il governo gialloverde, secondo la nostra valutazione, non durerà comunque molto a lungo, a meno che non decida di fare quello che molti si aspettavano, ovvero riprendere leve importanti di sovranità nazionale. Dovrà mettere in discussione l’appartenenza alla NATO, ritirare tutte le truppe italiane dislocate all’estero, ritirare le sanzioni alla Russia, lanciare la proposta per una nuova grande Assemblea Costituente eletta democraticamente tra tutti i popoli europei che stralci gli attuali trattati liberisti, ridiscutere il funzionamento della BCE e prevedere nuove forme alternative di finanziamento alla spesa pubblica.

A dicembre, infatti, il governo dovrà affrontare un problema serissimo: dovrà approvare una nuova finanziaria e i soldi mancano. Dopo le bufere di questo inverno sul 2,4% di deficit/pil, deferimenti europei, screzi e parole di fuoco, il governo, ricordiamolo, ha fatto un dietrofront completo e ha accettato tutte le condizioni della Commissione, riducendo il proprio deficit, come era stato richiesto, dal 2,4% al 2,04%. Eppure, già allora, circolava in rete come nelle sedi dei due partiti la proposta dei certificati di credito fiscali che sarebbe stata uno stratagemma per evadere gli assurdi vincoli europei e finanziare diverse decine di miliardi di spesa pubblica rilanciando gli investimenti. Questo avrebbe aperto in seno all’Europa un dibattito concreto sui vincoli di Maastricht e sul ruolo della BCE. In realtà, all’inizio, c’erano voci persino più critiche; ricordiamo, tra molti, solo Bagnai e Borghi che ventilavano come piano B l’uscita dell’Italia dall’euro, ipotesi subito spazzata via assieme a Paolo Savona. Ma tutte queste idee sono state insabbiate e abbandonate dalla dirigenza dei due partiti. E questo la dice lunga sul tipo di “cambiamento” che rappresenterebbero e sul “sovranismo” che tanto sbandierano per prendere voti.

Il problema però rimane: arriverà la fine dell’anno e non ci sarà sul piatto alcuna proposta per rifinanziare quota 100 e reddito di cittadinanza, e come una spada di Damocle che aleggia sulle nostre teste, c’è l’aumento dell’IVA. All’avvicinarsi di dicembre, in ragione di questi fatti, il nervosismo dei mercati aumenterà e le agenzie di rating lo alimenteranno oltre misura tornando a sparare a zero sulla credibilità del nostro paese e spingendo lo spread a livelli record. A quel punto l’indebitamento sarà insostenibile, l’Europa resterà rigida sulle sue regole di bilancio e i soldi mancheranno del tutto. Il governo allora avrà la sua ultima possibilità per rompere con gli schemi europei e inventarsi qualcosa come i certificati di credito o addirittura l’uscita dall’euro, ma con tutta probabilità non lo farà perché la NATO non glielo permetterà. Allo stesso tempo però il governo non vorrà indire nuove elezioni dato che sarà stato confermato dalle europee pochi mesi prima, ma non avendo il coraggio e né la forza intellettuale, né morale, né il consenso militare per rompere gli schemi europei e atlantici, entrerà nella paralisi d’analisi e di fronte alla crisi generale, con la paura innescata ad arte nella gente da tv e giornali (Shock Economy Strategy), la situazione andrà completamente fuori controllo[7]. Nel caos generale, con le proteste funzionali degli antifà e dei gretini, i media cominceranno a invocare a gran voce un profilo autorevole che sappia ridare fiducia ai mercati, chiedendo al contempo ai gialloverdi di sostenere un nuovo governo tecnico, appellandosi al senso di responsabilità. Forse questo “salvatore” della patria sarà Mario Draghi. Come già ventilato, sembra che Mattarella sia interessato a farlo senatore a vita entro ottobre, quando scadrà il suo mandato di presidente della BCE[8]. Esattamente sulla falsa riga di Mario Monti, anche Mario Draghi è stato un uomo della Goldman Sachs, strenuo sostenitore della politica delle “riforme”, un “vile affarista” come lo definì Cossiga, in una intervista telefonica su Rai Uno[9]. A quel punto, di nuovo, la Macelleria Italia riaprirà la saracinesca e dopo il mattatoio chissà cosa accadrà, forze la rivoluzione popolare…forse la dittatura militare, o prima la terza guerra mondiale.


[1] https://www.ilpost.it/2018/06/07/opuscolo-guerra-svezia/

[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/22/germania-fate-scorta-di-cibo-e-acqua-piano-del-governo-contro-terrorismo-guerre-e-catastrofi/2989423/

[3] https://www.youtube.com/watch?v=lcSWmdtvLHU

[4] https://www.usip.org/sites/default/files/2018-11/providing-for-the-common-defense.pdf

[5] http://www.ilgiornale.it/news/mondo/piano-cost-plus-50-trump-protezione-usa-avr-costo-1659301.html

[6] https://www.pandoratv.it/tag/trattato-di-aquisgrana/

[7] Naomy Klein, Shock Economy, Rizzoli Editori, 2007.

[8] https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2019/04/11/mario-draghi-senatore-vita/231124/

[9] https://www.youtube.com/watch?v=XuqitXGuYks