Documento sull’immigrazione.

1) PREMESSA.
Vale per questo tema, più forse che per ogni altro, la massima di Albert Einstein: “Esiste
sempre una soluzione semplice per un problema complesso. Ed è sempre quella sbagliata”.
Quando si comincia a discutere di questo tema si deve tenere presente che esso è un nervo
scoperto per la maggior parte degli interlocutori. E lo è sotto diversi punti
contemporaneamente. Dunque fa molto male quando lo si tocca.
L’impreparazione ad affrontarlo è generale. Prima di tutto bisogna chiarire di che si tratta,
dunque è fondamentale stabilire che non ci può essere nessuna trattazione parziale: pena il
fallimento di ogni discussione e la sua trasformazione in rissa. Bisogna perciò basare ogni
ragionamento sulla questione su dati verificati e attendibili.
2) I NUMERI.
In Italia ci sono attualmente circa 5,5 milioni di immigrati residenti. Tra questi ci sono circa
2,5 milioni di occupati regolari, che pagano le tasse e contribuiscono al bilancio dello stato
producendo un gettito fiscale che molte analisi dicono addirittura superiore alle spese sociali
che l’immigrazione produce.
Ma si deve tenere conto che gli occupati regolarmente sono in grandissima parte sottoposti

alla “regola delle 5 P.“ Cioè fanno lavori Pesanti e Precari, lavori Pericolosi, lavori sotto-
Pagati, lavori Penalizzati socialmente.

In merito alle migrazioni irregolari, si tenga presente che secondo i dati del Ministero
dell’Interno contenuti nel «cruscotto statistico» del 28 giugno 2018, i migranti sbarcati sulle
nostre coste nel 2016 furono 67.773, mentre nel 2017 furono 79.154, di cui ben 75.708 (circa
il 96%) provenienti dalla Libia. Alla data del 28 giugno 2018, da gennaio, sono sbarcati in
Italia 16.566 migranti.
Degli immigrati sbarcati nel 2018, circa l’8% è di origine asiatica (irachena e pachistana), il
18% proviene dalla Tunisia, il 4% dall’Algeria, e il resto dall’Africa subsahariana, in
particolare dai paesi francofoni (Mali, Costa d’Avorio, Senegal, ecc.) e dall’Eritrea.
Quasi il 90% sono maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Ma ci sono molti
minorenni, che “vengono spinti” sulle barche dalla totale inconsapevolezza di cosa li
attende. Qualcuno paga il viaggio (che non è a buon prezzo, di solito migliaia di dollari).
Bisogna capire se sono i loro parenti o sono altri. E chiedersi perché viene fatto
Si deve tenere presente che l’intero viaggio è clandestino, dalla partenza all’arrivo.
Quindi comporta trafficanti organizzati, anche per la parte di viaggio a terra. Il che solleva
una considerazione: non sono proprio dei poveri. Piuttosto sono ceti medi africani, con
reddito discreto. Questi giovani partono perché sono (stati) convinti che l’Europa e
l’Occidente sono talmente ricchi che basta arrivarci per fare fortuna.

3) LE CAUSE.
L’Africa è ricchissima di materie prime: oro, platino, diamanti, uranio, coltan, rame, petrolio,
gas naturale, legname pregiato, cacao, caffè e molte altre. Queste risorse, sfruttate dal vecchio
colonialismo europeo con metodi di tipo schiavistico, vengono oggi sfruttate dal
neocolonialismo europeo facendo leva su élite africane al potere, manodopera locale a basso
costo e controllo dei mercati interni e internazionali. Oltre cento compagnie quotate alla
Borsa di Londra, britanniche e altre, sfruttano in 37 paesi dell’Africa subsahariana risorse
minerarie del valore di oltre 1000 miliardi di dollari.
La Francia controlla il sistema monetario di 14 ex colonie africane attraverso il Franco CFA
(in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria
Africana»): per mantenere la parità con l’euro, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro
francese metà delle loro riserve valutarie. Lo Stato libico, che voleva creare una moneta
africana autonoma, è stato demolito con la guerra nel 2011. In Costa d’Avorio (area CFA),
società francesi controllano il grosso della commercializzazione del cacao, di cui il paese è
primo produttore mondiale: ai piccoli coltivatori resta appena il 5% del valore del prodotto
finale, tanto che la maggior parte vive in povertà. Questi sono solo alcuni esempi dello
sfruttamento neocoloniale del continente. L’Africa, presentata come dipendente dall’aiuto
estero, fornisce all’estero un pagamento netto annuo di circa 58 miliardi di dollari.
Un elemento spesso sottovalutato, a cui abbiamo prima accennato, è rappresentato dal
colonialismo culturale, denunciato a più riprese anche da economisti come Serge Latouche.
In modo evidentemente strumentale, l’Occidente ha sempre propagandato un’immagine
positiva di sé, come terra del benessere e dei diritti, dove chiunque può trovare l’affermazione
personale. Quest’immagine edulcorata della civiltà occidentale ha fatto breccia nei cuori e
nelle menti delle popolazioni africane attraverso i grandi media internazionali, ed è alla base,
assieme ad altri fattori, dell’esodo di così tanti giovani africani verso le coste d’Europa.
E’ peraltro evidente il danno fatto alle società africane, che si vedono strappate della loro
meglio gioventù, illusa di trovare fortuna a migliaia di chilometri dalle proprie radici.
Tutto ciò si inquadra nel mondialismo, un concetto più vasto del solo neoliberismo, in
quanto non si limita alla sola categoria economica, ma comprende l’annullamento dei valori e
delle identità, individuali o collettive, ad opera dei centri di potere mondiale.
4) COSA SONO E COSA FANNO LE ONG?
La BRAC (Bangladesh Rural Advancement Committee) è solo un esempio, rivelatoci da Ilaria

Bifarini (https://scenarieconomici.it/microcredito-e-migrazioni-di-massa-la-
finanziarizzazione-della-disperazione/) che mostra una correlazione diretta tra espansione

del microcredito e aumento dei flussi migratori verso l’estero. Riguarda il Bangladesh, da
cui proviene circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia (oltre 10 mila solo
nel 2017).
Qui si scoprono le tracce dei Clinton, di Bill Gates, della Banca Mondiale, creatori della
Grameen Bank, istituto finanziario che concedeva denaro ai più poveri con il fine filantropico
di consentire loro un futuro migliore. Partiti bene, parrebbe, ma si è trasformato in una
gigantesco business. Come? Finanziando non lo sviluppo dell’economia locale ma
l’incentivazione all’emigrazione, “secondo un infondato modello di sviluppo economico che
vede nelle rimesse dei migranti una fonte di crescita per il paese d’origine”, scrive Ilaria
Bifarini.
Tra giugno 2014 e giugno 2016 un tale servizio è stato erogato a oltre 40.000 famiglie del
Bangladesh. Ma l’esperimento è stato esteso all’Africa. Secondo i dati IFAD il volume delle
rimesse è cresciuto del 50% in soli dieci anni, per una cifra complessiva di 445 miliardi di
dollari nel 2016. Queste rimesse sono controllate dalle agenzie di recupero crediti con
commissioni attorno al 10/15%. Il 13% di questa somma è stato inviato in Africa.
E che dire delle navi delle ONG? Solo solidarietà? Non si può dire che non esistano le
buone intenzioni. Ma ormai è evidente che esistono potenti finanziatori della flotta di navi
che si muovono nel Mediterraneo per trasportare i migranti raccolti da gommoni ormai
industriali, di mostruosa lunghezza, comprati in Cina, per trasportare i disgraziati in massa.
Si tratta di operazioni come minimo qualificabili come “opache”, che rifiutano di sottostare a
ordini e controlli degli stati.
Certo in nome della solidarietà. Ma, alla luce di quanto qui è già stato esposto, anche se per
sommi capi, non si può più essere troppo ingenui circa la quantità di interessi politici e
materiali che usano la solidarietà come copertura di altri progetti. Uno dei quali è l’insieme di
ideologie mondialiste che puntano chiaramente a minare la storia e l’identità nazionale.

5) POSSIBILI SOLUZIONI.
Sul piano delle politiche nazionali, va ribadito che chiudere i porti è stato un gesto giusto,
lungimirante. Per dare un segnale ai milioni che si stavano mettendo in movimento.
Le cifre dicono inequivocabilmente che la maggior parte dei migranti proviene da aree non
in guerra. Le immagini dicono altresì inequivocabilmente che la maggior parte dei migranti
sono giovani e in buona salute.
Che devono fare i magistrati? Applicare la legge. Un eccessivo garantismo umanitario
alimenterebbe il fenomeno di esodi incontrollati. In questo senso, vanno incoraggiate
inchieste giudiziarie a tappeto su tutti gli illeciti legati all’immigrazione. In queste
dinamiche, gli immigrati sono utili solo al mercimonio di ONG, associazioni del terzo settore
e centri di potere eteronomi. Questi ultimi in particolare hanno l’esclusivo interesse nella
rovina dei popoli (europei, africani e arabi). Un reale movimento politico di sovranità
popolare, nazionale, e anche democratica, non può far finta di niente e pensare che il
problema non esista per motivi che hanno a che fare con un presunto “umanitarismo”.
Sul piano internazionale, va fatto un ragionamento più ampio. Il quadro geopolitico che
bisogna favorire deve essere uno scenario multipolare. Qui l’equilibrio è dato da “più
campi” (esempio Eurasia, BRICS, Repubbliche Bolivariane, USA e America del Nord, Paesi
Arabi e Repubbliche Islamiche, Africa, Asia, Oceania) non per forza in contrasto tra loro, ma
che anzi progressivamente possano accedere a politiche di coesistenza pacifica,
cooperazione, solidarietà e autentica realizzazione delle peculiarità di tipo geopolitico.
Quest’ultimo discorso si aggancia a tutta la vicenda dell’Africa del Nord e Subsahariana, ma
anche alla Palestina, ai paesi dell’Asia e a tutti quelli definibili genericamente del “terzo
mondo”. Per essi fondamentale è il supporto al principio dell’autodeterminazione, contro
ogni tentazione di tipo mondialista e “pietista” tesa a favorire i processi di immigrazione.
Essa è una vera e propria “nuova colonizzazione”, questa volta mascherata da
umanitarismo e filantropia.
Riteniamo fortemente utile alla causa l’idea di lanciare un appello ai grandi intellettuali e
agli attivisti africani che si stanno spendendo per liberarsi dal giogo neocoloniale, si pensi a
titolo d’esempio al movimento panafricano guidato da Kémi Séba, organizzando incontri
pubblici o altri tipi di iniziative, avviando un dialogo che, col tempo, potrebbe persino
sfociare in una vera e propria internazionale politico-culturale “sovranista” – estesa alle
forze popolari, democratiche e per la sovranità di tutto il mondo – per la liberazione dei
popoli dalle ingerenze della finanza e delle multinazionali, con l’obiettivo di ristabilire la
supremazia della politica, quale piena espressione della volontà democratica, sulle pulsioni
dell’economia.