I Lunedì del Laboratorio. Ripensare le città della Transizione: risolvere il problema dell’edilizia “insostenibile”.

1. EDILIZIA, INQUINAMENTO E RISCALDAMENTO GLOBALE.

Nel dicembre del 1997 160 paesi sottoscrissero il protocollo di Kyoto (approvato nel 2005), unendo gli sforzi per far fronte ai cambiamenti climatici. Il protocollo si prefiggeva in particolare i seguenti obiettivi: promuovere l’efficienza energetica; sviluppare fonti rinnovabili e tecnologie innovative; ridurre le emissioni dei gas climalteranti; impegno per l’estensione delle foreste e per un’agricoltura sostenibile. E’ in questo contesto che, nel dicembre 2002, l’UE diramò la direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici, volta a dare una risposta al problema dei consumi energetici, dovuti per una quota del 40% al settore edilizio. Nella direttiva si introdussero requisiti minimi per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni, ispezioni periodiche agli impianti di riscaldamento, la certificazione energetica e la definizione di una metodologia di calcolo integrata. In Italia, la direttiva 91 del 2002 fu recepita con il D.Lgs 192 dell’8 ottobre 2005.

Da allora è stato un fiorire di “soluzioni per l’efficientamento energetico”, come sostengono enfaticamente nei loro opuscoli decine di aziende specializzate in vari materiali e infissi termo-isolanti, pannelli fotovoltaici, caldaie a condensazione, e via discorrendo. Si è creato un modello di business legato all’efficienza energetica degli edifici che, come abbiamo visto, secondo le stime incidono per il 40% del totale sui consumi energetici. Queste valutazioni sono state confermate da un convegno tenutosi a Roma nell’ambito di Homo Condòmini Tour 2018 (un’iniziativa collegata ad Habitami, campagna pubblica riqualificazione energetica degli edifici). Nel corso dell’evento si è anche fatto presente che l’attuale livello di riduzione dei consumi del comparto edilizio è “molto inferiore rispetto ai trend previsti dagli scenari europei di decarbonizzazione al 2050”[1]. Quest’affermazione può essere facilmente confermata da qualsiasi tecnico edile attivo sul territorio nazionale, laddove la situazione tipica del tessuto edilizio è ben lontana dagli standard di efficienza energetica immaginati dal legislatore nei primi anni 2000.

Va notato che dall’inizio del secolo ad oggi si sono levate diverse voci autorevoli che contestano il ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico, visto come un fenomeno ciclico sempre esistito per cause naturali e indipendente, o quasi, da fattori esterni. Nel 2008 fu depositato presso il Senato americano un rapporto, firmato da 650 scienziati,  che contestava apertamente la teoria del riscaldamento globale per cause dovute all’attività umana (antropogeniche).[2] Il professor Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, in un discorso tenuto al Senato nel 2014 si espresse in questi termini: “Sono una persona che ha lavorato almeno un quarto di secolo sulla questione dell’energia nei vari aspetti e, quindi, conosco le cose con grande chiarezza. Vorrei esprimere alcuni concetti rapidamente anche perché i tempi sono brevi. La prima osservazione é che il clima della Terra é sempre cambiato. Oggi noi pensiamo (in un certo senso, probabilmente, in maniera falsa) che, se teniamo la CO2 (anidride carbonica) sotto controllo, il clima della Terra resterà invariato. Questo non è assolutamente vero. Vorrei ricordare che durante il periodo dell’ultimo milione di anni la Terra è stata dominata da periodi di glaciazione in cui la temperatura media era di meno 10 gradi, tranne brevissimi periodi, in cui c’è stata la temperatura che è quella di oggi […] Negli ultimi 2000 anni, ad esempio, la temperatura della Terra è cambiata profondamente. Ai tempi dei Romani, Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe venire, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che era ai tempi dei Romani. Quindi, oggi gli elefanti non potrebbero attraversare la zona dove sono passati allora. C’è stato un periodo, nel Medioevo, in cui si è verificata una piccola glaciazione. Poi, intorno all’anno 1000 c’è stato un aumento di temperatura simile a quello dei tempi dei Romani. Ricordiamo che ai tempi dei Romani la temperatura era più alta di quella di oggi. Poi c’è stata una mini-glaciazione, durante il periodo del 1500-1600 […] Se restiamo nel periodo degli ultimi 100 anni, ci sono stati dei cambiamenti climatici notevoli, che sono avvenuti ben prima dell’effetto antropogenico, dell’effetto serra e così via. Per esempio, negli anni Quaranta c’è stato un cambiamento sostanziale. La presenza dell’uomo ha probabilmente introdotto ulteriori cambiamenti […] Per quanto riguarda il comportamento del pianeta, questo ha avuto effetti molto strani e contraddittori. Vorrei ricordare ad esempio che dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata: essa è diminuita di 0,2 gradi e noi non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione.”

Il prof. Antonino Zichichi, professore emerito del dipartimento di Fisica Superiore dell’Università di Bologna, in un’intervista a “Il Mattino” del 2017 ha dichiarato: “L’inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l’operato dell’uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un’enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale. L’azione dell’uomo incide sul clima per non più del dieci per cento. Al novanta per cento, il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali, ad oggi, gli scienziati non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future. Ma io sono ottimista. In nome di quale ragione si pretende di descrivere i futuri scenari della Terra e le terapie per salvarla, se ancora i meccanismi che sorreggono il motore climatico sono inconoscibili? Divinazioni! Perché molti scienziati concordano sul riscaldamento globale dovuto all’attività umana ? Perché hanno costruito modelli matematici buoni alla bisogna. Ricorrono a troppi parametri liberi, arbitrari. Alterano i calcoli con delle supposizioni per fare in modo che i risultati diano loro ragione. Ma il metodo scientifico è un’altra cosa”[3]. La polemica insomma è in pieno svolgimento, ma rimandiamo una sua più attenta discussione ad altri frangenti.

2. INQUINAMENTO ED EFFICIENZA ENERGETICA.

Non volendo addentrarci in un’analisi della questione riscaldamento globale che richiede uno spazio a sé, possiamo soffermarci sugli aspetti negativi che in ogni caso comporta l’attuale situazione non ottimale del tessuto edilizio predominante nel nostro contesto nazionale. I punti da prendere in considerazione sono essenzialmente due: 1) produzione di inquinamento atmosferico; 2) scarsa efficienza energetica con relativo spreco di risorse.  Comunque la si veda, l’inquinamento è un problema serio che coinvolge l’intera comunità, e che mette a rischio la salute e la stessa sopravvivenza a lungo termine dell’uomo.

L’inquinamento atmosferico si definisce come uno stato di alterazione delle condizioni naturali dell’aria e può esser causato da diversi fattori, noti come principali agenti inquinanti (fisici, chimici e biologici).Gas di scarico di autoveicoli, caldaie, centrali elettriche, fabbriche, impianti di incenerimento vengono emessi nella nostra atmosfera sotto forma di sostanze nocive e particolarmente dannose per la salute di tutto il pianeta, sia animale che vegetale. Sempre più noti e tangibili sono gli effetti dell’inquinamento atmosferico, soprattutto nei grandi centri metropolitani dove particolarmente sentito è il problema dello smog. Un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2016 ha evidenziato come la pianura padana, e in particolare l’area di Milano, sia sottoposta a un livello altissimo di inquinamento, con tutte le ricadute negative del caso sulla salubrità dell’ambiente e sulla salute dei cittadini[4].

Gli edifici a uso civile, che presentano notevoli esigenze di combustibili fossili per soddisfare le richieste di comfort termico dell’utenza, come abbiamo già visto sono tra i principali responsabili delle alterazioni atmosferiche, tacendo peraltro dei consumi dovuti alle esigenze produttive degli stabilimenti industriali. Strettamente correlato è il problema, di non banale soluzione, dell’efficienza energetica. L’approccio adottato negli ultimi vent’anni opera su due fronti: da un lato migliorando le prestazioni dell’involucro edilizio, dall’altro adottando soluzioni di maggiore efficienza per quanto concerne gli impianti di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria, spingendo in particolare per l’adozione di impianti che non utilizzano combustibili fossili, come gli impianti solari e quelli a pompa di calore.

Gli edifici di nuova costruzione in particolare devono rispettare dei rigidi standard di efficienza energetica, mentre per quelli esistenti gli interventi di ristrutturazione devono soddisfare alcuni requisiti di legge (ricordiamo peraltro che la legislazione nazionale ha cominciato a interessarsi del problema già sul finire degli anni ’70, per arrivare nel 1991 alla Legge n. 10, Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia). La gestione del problema è affidata essenzialmente all’utente privato, che viene incentivato ad adottare determinate soluzioni attraverso specifici sconti fiscali (ecobonus). Per quanto gli ultimi dieci anni abbiano visto un incremento degli interventi di riqualificazione energetica, essi non appaiono ancora sufficienti a soddisfare gli obiettivi di legge.

Ricordiamo peraltro che nel 2009 l’Unione Europea aveva approvato il Piano 20-20-20, un accordo che avrebbe dovuto contrastare l’effetto serra con la riduzione, entro il 2020, del 20% di emissioni nocive e dei consumi energetici, oltre a implementare del 20% la quantità di energia derivante da fonti rinnovabili. Obiettivi che, possiamo già dirlo, non verranno raggiunti[5]. E’ l’approccio a questi problemi, compreso in un’ottica produttivista tipica del capitalismo, che sembra mancare del mordente necessario a risolvere alla base i problemi ecologici, sempre più pressanti.

3. IL TRAMONTO DELL’EDILIZIA DELLA SOCIETA’ INDUSTRIALE.

Il ‘900 è stato il secolo del cemento armato, dell’acciaio e dei derivati del petrolio. La plastica è onnipresente: dai contenitori per generi alimentari alle canaline che rivestono i fili che ci portano l’elettricità in casa. Il XXI secolo per il momento non ha ancora sviluppato una forte discontinuità rispetto al secolo che l’ha preceduto, e che continua a influenzarlo in molti aspetti della tecnica di uso corrente. La tragedia del 14 agosto 2018 a Genova (crollo del “ponte Morandi” dell’autostrada A10) ha portato all’attenzione generale il problema della manutenzione dei manufatti in calcestruzzo armato, che deve essere pressoché continua, soprattutto nel caso di opere sollecitate da carichi particolari come quelli che agiscono su ponti e altri manufatti stradali. Il quotidiano Avvenire del 17 agosto 2018 ha riportato anche un altro caso[6]: “Pochi anni orsono vi sono stati altri tragici esempi dei limiti del cemento armato: esso è stato usato sino anche per realizzare cerchiature volte a evitare crepe e spanciature dei tamburi delle cupole storiche. Sembrava che in questo modo le strutture sarebbero state protette dalle sollecitazioni dovute ai movimenti sismici. Il terremoto dell’Aquila del 2009 ha messo in risalto come proprio tali cerchiature realizzate pochi decenni prima abbiano invece massimizzato i danni. Perché il cemento è pesante e tanto maggiore peso si aggiunge ai livelli alti di una struttura, tanto più aumentano gli effetti delle vibrazioni del terreno: è intuitivo, basta considerare come si comporta un’asta se viene scossa. Oscilla, ma incollate sulla cima di quell’asta un peso e vedrete che le oscillazioni saranno ampliate”.

Naturalmente il calcestruzzo armato è un materiale molto utile in diversi frangenti, ma non può essere considerato il materiale “multiuso” che, dal secondo dopoguerra, è apparso a tecnici e progettisti. Si tratta di un abbaglio che, nel mondo dell’edilizia, ha diversi precedenti. Uno clamoroso è legato all’amianto, considerato per decenni un materiale ai limiti del miracoloso per le sue molteplici peculiarità, e oggi giustamente demonizzato per gli effetti nefasti sulla salute dovuti all’inalazione delle sue fibre. Il calcestruzzo armato non è un materiale “assassino”, ma come già detto richiede notevole impegno per la manutenzione di strutture sensibili, e spesso i costi non corrispondono ai benefici della manutenzione, tanto che in alcuni casi sarebbe più opportuno demolire e ricostruire daccapo, possibilmente con materiali meno “impegnativi”, senza contare che non può essere utilizzato per qualsiasi esigenza progettuale, come si è a lungo creduto.

Materiali e sistemi costruttivi tipici dell’età industriale appaiono, in questa difficile epoca di transizione, non del tutto adeguati e in qualche misura corresponsabili dell’eccessivo uso di risorse energetiche da parte dell’umanità. I materiali tradizionali, come la pietra, il laterizio, il legno, non a caso stanno tornando in modo prorompente all’attenzione di progettisti e urbanisti.

4. LA BIOARCHITETTURA.

La provincia autonoma di Bolzano si è dotata di un’agenzia per l’energia, di nome CasaClima, per la certificazione energetica degli edifici in Alto Adige. L’agenzia è diventata uno standard di riferimento nazionale per le costruzioni basso emissive o, addirittura, a emissioni zero. CasaClima ha sviluppato un progetto innovativo di  “casa passiva”, un edificio residenziale che non necessita di impianti di riscaldamento convenzionali, pur garantendo un benessere termico abitativo durante tutto l’anno, grazie al recupero del calore o del fresco naturale generato al suo interno da particolari sistemi di ventilazione meccanizzata dell’aria. La casa passiva non ha bisogno di usare combustibili fossili, e di conseguenza non emette CO2 nell’atmosfera. Pur essendo su piazza da diverso tempo, gli esempi pratici di costruzioni di questo tipo sono ancora piuttosto rari, e non esistono provvedimenti legislativi in merito, per quanto la cosiddetta “classe A” degli edifici (massima efficienza energetica) sia l’obiettivo del legislatore per le nuove costruzioni che, in realtà, in un contesto urbanistico saturo come quello italiano, sono rarità. La costruzione di case passive incontra diverse difficoltà tecniche, oltre all’aumento delle spese da affrontare per l’utente, che la rendono una scelta progettuale poco comune.

Una soluzione almeno in parte legata al concetto di casa passiva che sta prendendo sempre più campo è legata alla bioedilizia, la “casa ecologica”, associata a quella che viene chiamata bioarchitettura. In Italia è attivo un Istituto Nazionale Bioarchitettura[7] che si pone l’obiettivo di formare i progettisti alla materia. Gli scopi della bioarchitettura sono: 1) gestione oculata delle risorse; 2) tutela della salute; 3) progettazione e recupero edilizio ed ambientale; 4) definizione e organizzazione di nuovi e vecchi insediamenti; 5) attribuzione di qualità spaziale agli ambiti antropizzati e naturalistici. La bioarchitettura si allaccia idealmente ad alcuni dei capisaldi delle politiche ambientaliste, come il concetto di recupero e riuso dei materiali. Le conoscenze tecnico-scientifiche dell’epoca contemporanea permettono di utilizzare materiali “storici” dell’edilizia, compatibili con un corretto uso delle risorse, abbinati a impianti di ultima generazione che minimizzano o addirittura rimuovono il problema delle emissioni inquinanti. La messa a sistema di impianti fotovoltaici a servizio degli edifici civili, ad esempio, permetterebbe l’immissione in rete dei surplus di  energia elettrica prodotti dagli impianti privati, abbattendo notevolmente la produzione e la distribuzione centralizzate di energia elettrica, che avviene generalmente con impianti e tecniche impattanti sul piano ambientale. In un’epoca in cui dovremo fare i conti sia con problematiche di approvvigionamento energetico (per limiti materiali e per questioni geopolitiche), sia con gli effetti sempre più disastrosi dell’inquinamento atmosferico, l’idea di una comunità che produce autonomamente quasi tutta l’energia utile al proprio fabbisogno possiede risvolti rivoluzionari.

L’unione quindi tra l’utilizzo di materiali il più possibile naturali per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni, con un progressivo abbandono del calcestruzzo armato e degli altri materiali tipici dell’età industriale ormai al tramonto – tranne per quelle applicazioni in cui il cemento armato appare il materiale più vantaggioso tecnicamente ed economicamente –  e soluzioni progettuali e impiantistiche all’avanguardia, può permetterci di far fronte alle esigenze che si affacciano con l’avanzare dell’era della transizione.

5. LA CITTA’ DELLA TRANSIZIONE.

La città della transizione avrà quindi caratteristiche diverse da quelle della città otto-novecentesca, che ancora si riverbera concettualmente in questo inizio di nuovo millennio. La città industriale dei grandi capannoni e dei “casermoni” di cemento armato, in cui vivono decine se non centinaia di famiglie, in quartieri di edilizia popolare costruiti mangiando fasce di verde pubblico e privato a ridosso dei centri urbani, provocando spesso problematiche di gestione idro-geologica del territorio, rappresenta un passato che non dovrà tornare. Le nuove costruzioni, salvo esigenze tecniche particolari, utilizzeranno materiali eco-compatibili come pietra, legno, calce stagionata, sughero bruno e laterizio bio, saranno dotati di infissi con doppi o tripli vetri basso emissivi, garantendo un impatto ambientale minimo. L’efficacia termica sarà  integrata con fonti energetiche rinnovabili quali il solare e impianti termici a biomasse.

Il ruolo della progettazione urbanistica sarà decisivo: le città dovranno dotarsi di piani di recupero dei grandi spazi urbani semi-abbandonati o degradati risalenti all’età industriale. In Italia si vive uno “strano” problema abitativo, dovuto a un grande numero di abitazioni vuote o sfitte che riflettono il declino demografico del paese rispetto ad alcuni decenni fa. Queste abitazioni lasciate al loro destino vengono in taluni casi occupati da soggetti appartenenti alle fasce più deboli della società – senza tetto, immigrati irregolari, tossicodipendenti – creando problemi di natura sociale, giuridica ed etica.

Lo Stato e le amministrazioni locali dovranno farsi carico del problema, individuando le soluzioni più adatte come l’eventuale abbattimento programmato di palazzi fatiscenti e/o abbandonati, o la ristrutturazione di interi quartieri di periferia che subiscono fenomeni di degrado sociale. Il ruolo della pianificazione pubblica diventerà quindi centrale e insostituibile: da essa potrà prendere corpo una vera e propria ristrutturazione edilizia, architettonica ed energetica dell’intero paese, capace di generare un ritorno inestimabile per l’economia nazionale, anche per le numerosissime opportunità di lavoro che nasceranno. Grazie alle nuove tecniche, anche i centri storici urbani potranno essere coinvolti nel piano di ristrutturazione senza un impatto negativo per il mantenimento delle loro inimitabili caratteristiche artistiche e architettoniche. Se la transizione vorrà esprimere un nuovo umanesimo, lontano dalla logica utilitarista dell’età industriale, dovrà necessariamente passare attraverso il recupero e il risanamento del tessuto edilizio delle nostre città, specchio del nostro modo di vedere il mondo.


[1] http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/green_economy/2018/01/17/edifici-pesano-30-emissioni-pianeta-e-40-consumi-energia_d5bf19e0-f139-4dfc-b4c6-79741d557c26.html

[2] http://www.pieroiannelli.com/riscaldamento-globale-650-scienziati-dissidenti/

[3] https://giuseppemerlino.wordpress.com/2017/06/02/gli-scienziati-rubbia-e-zichichi-contro-la-teoria-del-surriscaldamento-globale-dovuto-alluomo/

[4] https://www.tpi.it/2016/09/27/inquinamento-atmosferico-europa-tasso-alto-nord-italia/

[5] http://mag.bzcasa.it/il-fallimento-del-piano-20-20-20-12377/

[6] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/cemento-armato

[7] http://www.bioarchitettura.it/