Come creare una forza in grado di rispondere all’ondata di protesta verso le élite.

“Note su una possibile “ripartenza” del discorso sulla creazione di una forza
politica in grado di rispondere alla ondata di protesta e di repulsione delle élites
dirigenti europee che esse stesse, nel tentativo di screditarla, hanno definito
“populismo”.
Questo documento non ha e non vuole avere nulla di definitivo. È un tentativo di definire
preliminarmente con chiarezza i contorni dei problemi — numerosi — che abbiamo davanti.
Serve come introduzione alla prima assemblea nazionale del “Laboratorio Culturale per
l’Alternativa Politica”. Come tutti sappiamo questa iniziativa nasce dalla fine della breve e
infelice esperienza della “Mossa del Cavallo”, e della sua propaggine politica della “Lista del
Popolo”. Le valutazioni che troverete nei documenti preparatori sono, nel loro insieme, una
spiegazione di quel fallimento e un tentativo di migliorare la comprensione di ciò che sta
accadendo nel nostro paese e nel mondo intero in una fase cui è appropriato assegnare il
termine di “transizione”.
Da un certo punto di vista ogni fase della storia umana è “di transizione”. Ma ora sta
diventando sempre più evidente, con crescente rapidità, che noi stiamo vivendo l’età del
tramonto di un assetto mondiale dei rapporti di forza che ha dominato l’intero XX secolo.
Una “transizione” colossale, dalle conseguenze anch’esse immense ma non ancora visibili se
non in piccola parte.
Essenziale è dunque individuare i vettori principali di questo sommovimento. È questo sarà
uno dei compiti del Laboratorio per l’Alternativa. Le élites politiche dell’Occidente, fino a ieri
incontrastate dominatrici, non sono in grado — accecate dalla superbia, dalla loro ignoranza
— di vedere questi vettori. Ma altrettanto incapaci di vederli sono i gruppi sociali e politici
che hanno cercato e cercano, confusamente per ora, di opporsi ai loro disegni. Si potrebbe
dire che appaiono i sintomi di mutamenti rivoluzionari, ma non vi è una teoria della “società
del tramonto” che consenta di guidarli verso un qualsiasi approdo. Peggio ancora: accanto ai
mutamenti rivoluzionari che si colgono, esiste in parallelo — e in termini sempre più
accentuati — il pericolo di una immensa guerra di sterminio di gran parte dell’umanità.
Una risposta a questo stato di cose ancora non esiste. Ma l’esigenza primaria è quella di
accumulare nuovo sapere. Non abbiamo e non possiamo avere l’illusione che saremo noi a
produrlo. Ma, assai più modestamente, noi pensiamo che ad ogni livello della nostra società
esiste il problema di “mettere ordine” nelle teste, di recuperare le esperienze positive del
passato, di tornare alla nostra storia, alla nostra cultura, di ricostruire i valori che una
globalizzazzione forsennata, insensata, estranea all’Uomo, ha in gran parte già demolito, ma
che ancora vivono e possono essere ricostruiti.
A questo livello noi possiamo agire fin d’ora, senza perdere altro tempo. Ecco perché ci è
venuto in mente di chiamarci “Laboratorio”. Perché vogliamo ripartire, come
artigiani del piccolo sapere che abbiamo, a organizzare la cultura del presente e del futuro.
E, tanto per cominciare, pur non essendo la creazione di un partito o movimento politico
all’ordine del giorno del nostro lavoro immediato, è necessario definire le coordinate di
partenza da cui muoviamo. Le note che seguono sono il disegno della nostra mappa iniziale.
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Sul Governo
Questo governo non è il nostro. Non l’abbiamo votato. Il suo “programma” ha molti punti che
non condividiamo, a cominciare dalla flat tax (e non ne facciamo l’elenco).
Ma questo governo è una specie di esperimento di rottura della situazione politica
precedente il 4 marzo. E ha assunto immediatamente, per questi motivi, un valore
internazionale rilevante. L’autore, parzialmente involontario, di questo esperimento è la
maggioranza del popolo italiano.
Ignorare questo dato sarebbe un errore madornale. Non si può ambire a guidare e orientare
un popolo se si ignorano i suoi sentimenti. Sia quelli che noi consideriamo gradevoli e utili,
sia quelli che noi vediamo come sbagliati, illusori, negativi. E, poiché l’attore principale,
anche se non unico, dei rivolgimenti in atto, è il popolo, sarà utile aggiornare il concetto di
“popolo” che ognuno di noi ha nella propria testa, frutto della propria esperienza.
Il concetto di sovranità popolare che i nostri padri costituenti assunsero come riferimento
presupponeva un popolo consapevole. Ma i livelli di consapevolezza sono infiniti. Per questo
la nostra Costituzione prevedeva esplicitamente, nell’articolo 3, un ruolo dello Stato nel
“rimuovere gli ostacoli” (….) che, “limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ostacoli, cioè, che
impediscono ai cittadini di essere capaci di esercitare la propria sovranità. E, nello stesso
tempo, essa indicava con totale chiarezza che la sovranità del popolo si esercita “nelle forme e
nei limiti della Costituzione”. Una sovranità con regole che il popolo stesso si impone. Una
sovranità che, attraverso il rispetto di quelle regole, si affina, si eleva, si migliora. Non è cioè
un dato immobile: è un dato storico in evoluzione. Ma basti considerare lo stato
dell’informazione e della comunicazione nel nostro paese, per comprendere che se un popolo
non è adeguatamente formato e informato, questa sovranità, può anche arretrare e ridursi.
Non è un caso che riemergano, proprio in questa fase politica, pulsioni e idee “elitarie” che
addirittura si propongono di restringere il corpo elettorale alle “persone colte”. Cioè, prima si
lascia il popolo nell’ignoranza, e poi lo si esclude dal governo della cosa pubblica a causa della
sua ignoranza. Fino all’assurdo di élites minoritarie che si pretendono custodi della
democrazia, contro maggioranze popolari che vengono accusate dalle élites minoritarie di
essere anti-democratiche.
È, al fondo, quanto sta avvenendo in questa fase. Per cui dobbiamo decidere, per quanto ci
riguarda, se sia ancora valida, per tutti noi, a riflessione di partenza della Mossa del cavallo, e
la esplicita ripulsa del carattere negativo e dispregiativo del termine “populismo”. Esso è
ormai divenuto un’arma della reazione elitaria contro i popoli, divenuti sempre più
insofferenti.
Questo è un governo provvisorio. Nato in circostanze particolari. Composto da due forze che
hanno poco o niente in comune. Che rappresenta forze genuinamente popolari, ma che
hanno aspettative diverse, contraddittorie tra loro, spesso confuse. Né poteva essere
altrimenti, visto che le masse sono rimaste per decenni senza una guida; visto che sono state
e ancora sono indottrinare dal nemico; visto che sono state lasciate nell’ignoranza e visto che
la loro ignoranza è stata coltivata e ampliata; visto che non c’è stata un’opposizione capace di
proporre alle masse una via d’uscita dalla crisi che fosse praticabile senza gravi danni. Ma
questo governo è anche il risultato di una drammatica e cruciale sconfitta della classe
dirigente italiana e l’arrivo al potere di forze popolari. Una ventata di aspettative è in corso.
La durata di questo governo è tuttavia incerta per tutti: per chi lo sostiene e per chi lo
osteggia. È una lotta contro il tempo. Le èlites sconfitte intendono abbattere questo governo,
ma non ne hanno la forza e possono appoggiarsi solo sui nemici esterni dell’Italia e della
sovranità del popolo italiano. E stanno cercando di sfruttare le altrettanto sbaragliate forze
della sinistra in funzione apertamente anti-popolare.
Il sud del Paese ha espresso volontà e aspirazioni che non sono affatto omogenee con quelle
espresse dal nord e dal centro. Per mettere ordine in questo magma di desideri generici e
contraddittori, di aspirazionj di rivincita sociale, occorrerebbe un grande progetto, un
progetto “alternativo al sistema”. Ma questo progetto non c’è e non si vede nemmeno
all’orizzonte. Per la semplice e drammatica ragione che le due componenti del governo non
ne hanno uno, e, dunque, è molto improbabile che possano farne un terzo insieme. E una
cosa è mettere insieme un governo, in una situazione totalmente anomala, improvvisata, non
prevista neanche da loro stessi, e cosa tutt’altra è fare un programma strategico, all’altezza
dei problemi e che metta un ordine di priorità nelle aspettative degli elettori.

Sugli “untori di sinistra” e “democratici senza democrazia”
Una rivoluzione politica sta avvenendo, dunque, ma senza una guida.
Chi non capisce questo perde ogni possibilità di influire e finisce per collocarsi, volente o
nolente, dalla parte degli avversari del cambiamento. Denunciare l’assenza di un progetto e di

una guida non può condurre al disprezzo della rivoluzione in corso. La frequente semi-
fascistizzazione dei movimenti populisti (il leitmotiv del mainstream europeo), i paragoni tra

il secondo ventennio del XXI secolo e il periodo tra le due guerre mondiali sono ridicolmente
sbagliati e, in ultima analisi, inefficaci. I populisti di oggi non hanno in mente uniformi, o
raduni in stile militare, e nemmeno tumulti di piazza, o assalti ai parlamenti. Confondere
populismo con estrema destra è semplicemente un errore politico, e anche storico. Inoltre
mettere milioni di elettori (in Italia e in Europa) di fronte all’ alternativa tra una sinistra che
pone la questione dell’accoglienza come punto dirimente e una destra che la respinge (con
varie motivazioni) significa contribuire a preparare una generale svolta politica a destra. Che,
in queste condizioni sarà usata dai centri globalisti-autoritari contro la democrazia.
Tutta l’opinione pubblica “di sinistra”, dominata al 100% dal mainstream, che esprime la
rabbia (nient’altro che la rabbia) degli sconfitti del 4 marzo, sta vivendo una fase di delirio
collettivo.
Nello stesso tempo tutta questa masnada di “untori di sinistra e democratici senza
democrazia” (tra i quali sono letteralmente sprofondate non poche persone un tempo
ragionevoli e decenti) è palesemente minoritaria nel paese. Si tratta di persone che ritengono
di essere di sinistra ma che sono lobotomizzati dal neo-liberismo, travestito da “diritto-
umanismo”. È un pubblico, che si ritiene progressista, ma che non si rende conto che una
qualunque ipotesi di rottura del sistema implica scontro politico aspro ed è incompatibile con
un duello verbale con i guanti bianchi. Ed è dunque perfettamente spiegabile che costoro
sbaglino completamente l’individuazione del nemico, vedendo in Salvini il futuro dittatore e
non vedendo che è Salvini, in questa fase, il nemico principale dei grandi centri del potere
mondiale, l’unico che è riuscito a inquietarli. E che, con ogni probabilità, la rivincita di
Bruxelles, di Francoforte e del Colle (Junker, Draghi, Mattarella) passerà proprio — se ci
riuscirà — sul cadavere politico di Salvini. Dunque questa gente, ne sia consapevole o meno,
rifiuta ogni ipotesi di rottura, non ha più nessun ancoraggio reale con la sinistra
trasformatrice di un tempo. Noi non abbiamo nulla da condividere con questo delirio. Certo
si deve discutere con tutti, ma senza farsi illusioni. La maggioranza di questa minoranza si
appresta a divenire la massa di manovra (già svolge questo ruolo) per una contr’offensiva
reazionaria in grande stile, dei grandi poteri finanziari, che è l’unica che si delinea
all’orizzonte.
Non si può trascurare che questo governo è una sommatoria di due partiti diversi e, per
moltissimi aspetti, antagonisti tra loro. La formazione del governo è stata una specie di
miracolo e di fortuite coincidenze. Addirittura è stata una vittoria fatta di debolezze, che si
sono sommate contro una élite politica frastornata dalla sconfitta e oltremodo stupida. E ora
è già evidente che le incrinature, invece di chiudersi, si allargano. Dunque, sperare in una
marcia trionfale di cambiamenti positivi è del tutto sbagliato. Ci vuole grande realismo. Ma
un conto è cogliere gli errori e le dabbenaggini, un altro conto è dimenticare che la caduta
eventuale del governo giallo-verde non ha alcuna alternativa decente. L’unica che si delinea è
quella dell’elettore del PD, che in tv grida: “per fortuna che c’è Mattarella”, come fanno tutti i
personaggi da operetta che bazzicano nei talk show.

Su Salvini
Salvini, personalmente, ha interpretato abilmente gli umori popolari ed è andato oltre il voto
del 4 marzo, più che raddoppiando i suoi consensi in pochi mesi. Sappiamo come:
mescolando buono e cattivo con grande audacia e totale spregiudicatezza. Ma sta giocando
con astuzia, nell’essenziale, interpretando la volontà — che c’è ed è diffusa — di rottura nei
confronti del “sistema”. Una critica nei suoi confronti è sensata ed utile solo se si valutano
bene le sue possibilità e i suoi intendimenti. Per ora visibili solo in parte, e certamente in
evoluzione rapida. Il momento è, davvero, potenzialmente rivoluzionario. In queste
condizioni chi pensa che operazioni di rottura del sistema possano essere fatte con maggiore
delicatezza e con troppi distinguo, non ha compreso la posta in gioco. Chi si affretta a
“bombardare” Salvini, unendosi al coro degli sconfitti, e a tutto il mainstream nazionale, sta
palesemente commettendo un grave errore strategico. Noi non lo faremo. Riservandoci gli
spazi critici dove sarà necessario criticare, anche aspramente, ma rifiutando giudizi sommari
e infondati che qualificano lui come “fascista” e come l’anticamera del fascismo il suo
progetto.
Non è così. Anzi, riteniamo che bisogna rigorosamente prendere le distanze da posizioni,
come quella letta in questi giorni, secondo cui all’estero sarebbero indecisi se “classificare
questo governo come il peggiore dal fascismo, o semplicemente ignorarlo come un volgare
rutto nel vuoto pneumatico di un paese rimbecillito”. Questi sono i toni dei nemici — che
sono anche i nostri nemici — che vomitano insulti contro la maggioranza del popolo italiano.
Come s’è già detto il programma della Lega non è il nostro programma, ovviamente. Salvini
sta portando avanti a tappe forzate anche un progetto europeo. Anch’esso non può essere il
nostro progetto. Il nostro progetto per l’Europa è abbozzato nel documento che accompagna
la presente riflessione. Dunque una posizione accorta consiste nell’utilizzare, per quanto
possibile, i risultati dello scardinamento politico dell’attuale composizione del Parlamento
Europeo. E innestare, se possibile, l’idea nostra — che sarebbe decisiva — di una nuova
Assemblea Costituente Europea da eleggere a suffragio universale fin dalle prossime
elezioni europee del 2019.
Salvini ha aperto alla Russia, ma ha dovuto fermarsi sulla soglia della Nato. E questo dice già
quasi tutto dei limiti attuali della Lega. Ma la partita di Salvini è fatta anche di importanti
mosse politiche come quella della nomina di Marcello Foa alla presidenza della Rai. Questo è
un gesto di enorme cambiamento, una sfida al sistema in un settore decisivo per la
trasformazione del paese. Proprio nel campo di cui abbiamo parlato prima.
Salvini è ancora legato alla destra e fa leva, strumentalmente e demagogicamente, su idee
primitive e reazionarie che serpeggiano da sempre nella subcultura popolare italiana, su
questo va criticato, anche aspramente, e tallonato.. E, in ogni caso, le forze dominanti della
reazione internazionale gli sono avversarie, non amiche. E sono le forze dominanti nel
mondo. Confondere queste cose e non comprendere la reale situazione in campo costituisce
un gravissimo errore di fondo.
Salvini si muove per scalzare definitivamente Berlusconi (ormai allo stremo) e sostituire a
Forza Italia la Lega. Ovviamente ereditando anche molta parte di ciò che rappresenta tuttora
Forza Italia. E si dovrà vedere in quali proporzioni. Specialmente nel Sud Italia dove Forza
Italia è sempre stata forte e la Lega debole. Ma, in ogni caso, presentare Salvini come una
pedina nelle mani di Berlusconi è un errore di valutazione. Chi ha in mano il pallino, per il
momento, è Salvini e non viceversa. Non possiamo guardare la realtà con gli occhiali della
“Seconda Repubblica”, perché dopo il 4 marzo il contesto è totalmente rovesciato.

Sull’immigrazione
Sull’immigrazione si è concentrato il fuoco delle polemiche contro Salvini. Strumentali quelle
del PD perché Salvini ha fatto meglio quello che già stava facendo Minniti. La durezza con cui
ha imposto una svolta negli arrivi gli ha fruttato un enorme vantaggio di consensi. È un dato
di cui tenere conto politicamente. Riteniamo che l’intera questione dell’immigrazione debba
essere ri-formulata tenendo conto della sua complessità. Il documento preliminare che qui
presentiamo è un primo tentativo in questo senso. Non ci si può limitare ad affrontare i
problemi che si creano sulle rive del Mediterraneo. Cioè all’ultima tappa. Siamo in presenza
di una nuova “tratta degli schiavi”, organizzata nei termini moderni della globalizzazione, ma
sempre una “tratta di schiavi”. I punti di partenza debbono essere individuati e bloccati.
L’accoglienza senza limiti è impraticabile e suicida. Nessun leader politico responsabile
potrebbe adottare questa linea. La sconfitta di Angela Merkel e la sua prossima uscita di
scena ha le sue radici in questo errore. Ci sono aspetti umanitari e giuridici che non possono
e non devono essere evitati (in primo luogo la salvaguardia delle vite), ma al contempo ci
sono calcoli politici ed economici di molti soggetti esterni che sono entrati in campo con
estrema virulenza. Vedere gli uni e dimenticare gli altri è un errore politico grave.
Il merito essenziale e innegabile di Salvini è di avere messo in luce l’ignavia e la colpevolezza
dell’Unione Europea. E di avere dato un segnale chiarissimo ai trafficanti: l’Italia non
accoglierà tutti. E anche i partenti saranno di meno.

Sul Movimento 5 Stelle
Il M5S non ha nessun reale programma di alternativa al sistema. Lo si è visto in tutte le
mosse fino a qui compiute, che dimostrano tutte, senza eccezione, l’intenzione di Di Maio di
presentarsi come l’interfaccia del dialogo con il sistema. Con quello strategico della Nato e
delle forze più aggressive dell’Occidente, e con quello non meno strategico dell’Europa, cioè
della sovranità dell’Italia. Anche in questo caso la nomina 5Stelle dell’Amministratore
delegato della RAI è quanto di più stabilizzante e soddisfacente per i controllori del sistema
comunicativo informativo italiano. Si aggiunga l’uscita di Beppe Grillo che, in pieno
bailamme contro la nomina di Marcello Foa, annuncia la sua proposta di vendere due canali
pubblici alla concorrenza privata. Un colossale regalo ai pifferai magici mondiali che
verranno a comprare, per quattro lire, due straordinari strumenti appartenenti al popolo e
che dovrebbero diventare baluardi della democrazia. Qui, davvero, non si può parlare di
alternativa di sistema. Piuttosto si tratta di un suicidio democratico. Ovvio che in questa
situazione magmatica tutto è in divenire e che nel mondo pentastellato ci sono anche
posizioni diverse ed eccezioni (poche nei vertici, molte nei quadri e tantissime fra i militanti
di base). Resta il fatto che, ad oggi, le promesse elettorali del M5S languono; che il consenso
del M5S si riduce visibilmente, mentre appaiono fratture anche al suo interno. Cosa pensi di
tutto ciò una parte rilevante degli elettori del M5S lo diranno gli eventi. Ma c’è già oggi
ragione di dubitare dell’entusiasmo per quanto stanno vedendo. E si tratta di milioni di
elettori che, in caso di collasso del governo, emigreranno dove troveranno spiegazioni e
proposte migliori.
Questa è l’analisi a dicembre 2018. Con ogni probabilità sta per scattare l’offensiva dei
“padroni universali”, che i pifferai magici chiamano la risposta dei “mercati”. Ma nulla è
scontato. Anche Bruxelles ha i suoi seri timori. L’ondata “populista” non è niente affatto
esaurita. Una strategia moderata per frenarla ancora non è stata elaborata, salvo quella di
terrorizzare la gente con lo spread in salita irrefrenabile. Una strategia di aperto scontro e
repressione contro ogni forma di scetticismo europeo è estremamente pericolosa anche per
l’ordine dei “padroni universali”. Tutto ciò non è comunque rassicurante e imporrà alti livelli
di mobilitazione. Ma gli entusiasmi e gli anatemi semplificatori devono essere frenati. Mai
sottovalutare il nemico. I generali che lo hanno fatto, hanno sempre perduto le loro guerre.

Che fare?
Come s’è detto la vita di questo governo non andrà oltre le elezioni europee del 2019 (e
potrebbe essere molto più corta).
Ma il “Laboratorio per l’Alternativa” non dovrà misurare i suoi compiti sulla durata di un
governo. Il nostro compito è quello di costruire una visione d’insieme della crisi italiana,
europea e mondiale. Quello che manca acutamente è, in primo luogo, una visione d’insieme,
che ci faccia uscire dal provincialismo. La globalizzazione anglosassone che abbiamo subito e
che ci ha sconfitti non può essere affrontata senza una visione globale alternativa. Saremo
sicuramente tra i pochi che hanno una politica estera.
Il che non significa che dobbiamo disinteressarci dello sviluppo della crisi in cui si dibatte il
nostro paese. Le debolezze di questo governo, quelle che ne provocheranno la fine, saranno
seguite da un’ondata di rabbia, di delusione, di riflusso. Questa ondata investirà, com’è logico
ed evidente, prima di tutto il Movimento 5 Stelle, che è completamente privo proprio di una
visione d’insieme delle crisi che è costretto ad affrontare, ma che è anche privo di una guida,
lacerato al suo interno, staccato da una parte grande del suo stesso elettorato. Un elettorato
che ha saputo conquistare inseguendolo nella sua confusione e nel suo primitivismo. Un
elettorato trascinabile in molte direzioni, nuovo, instabile. Un elettorato, come molti hanno
ormai compreso, che non è di sinistra, o di destra, ma è un coacervo di esigenze, spesso tra
loro contrastanti, molte delle quali inquinate dalla “formattazione” individualistico-
consumistica cui il popolo è stato sottoposto in questi decenni passati.
Meno drammatico sarà il problema che investirà la Lega, partito di destra più consolidato,
con una guida decisa e determinata. Che non appare minacciato nella sua stessa esistenza,
ma che ha raccolto anch’esso una protesta contraddittoria e molteplice che non è in grado di
soddisfare.
Siamo comunque molto lontani dal momento in cui il panorama politico comincerà a
riconfigurarsi in forme stabili. Addirittura si potrebbe perfino mettere in dubbio che esso si
riconfigurerà in un panorama stabile. La crisi delle istituzioni democratiche liberali è più
profonda e meno transitoria di quanto pensiamo. In ogni caso i processi di rottura — come
stanno dimostrando perfino le elezioni nei Länder tedeschi, di una Germania in cui le forze
politiche tradizionali hanno retto più a lungo di tutta l’Europa — continueranno.
E i panorami politici del futuro nessuno è in grado di disegnarli, Ma una cosa è certa: che
ogni tentativo di “mettere ordine” nelle idee, nelle priorità di un’agenda del giorno dei
problemi realmente urgenti, dovrà avere un carattere “trasversale”, dovrà parlare a
generazioni che non conoscono nulla delle linee di demarcazione politica del passato.
Non c’è niente del genere in Italia, al momento. Né le nostre piccole forze ci consentiranno di
raccogliere le ondate di scontento e di protesta che sono da attendersi. In altri termini noi
non abbiamo scadenze elettorali. Vogliamo diventare una “casamatta” dove si comincia a
costruire un nuovo “sapere politico e culturale”, con pazienza, umiltà e raziocinio. E dove si
costruiscono nuove relazioni umane dettate dalla solidarietà e dall’empatia. Vogliamo
raccogliere i superstiti che non hanno ancora perduto la speranza e l’entusiasmo. Non
importa quanti saranno. Non abbiamo alcun interesse a perdere tempo con le infinite
geremiadi e divisioni del passato. Che, tra l’altro, riguardano solo ed esclusivamente le
vecchie generazioni, quelle degli sconfitti. Queste ci farebbero solo perdere altro tempo in
recriminazioni. Quello che è accaduto ai popoli, il nostro incluso, è molto più grave e più
decisivo che i tradimenti di coloro che hanno preteso di guidarli e che, invece, non ne sono
stati capaci.

Ondata di protesta
Ondata di protesta

La scommessa che facciamo è sul fatto che non siamo cinquanta, ma molti di più. Ci sono
molti segnali che ce lo dicono. Di persone che ci chiedono chiarimenti sul che fare, sul cosa
pensiamo, su cosa proponiamo e “da che parte stiamo”. È un grande pubblico, trasversale
come deve essere, che sta in attesa di quello che vogliamo dirgli.
Dobbiamo camminare, per un po’, con coloro che hanno idee compatibili con un grande
progetto di trasformazione. Ma, prima di tutto la linea di demarcazione dovrà essere quella
dettata dalla crisi mondiale. Chi la capisce è dei nostri, chi non la capisce, o non la vuole
vedere, per il momento lo lasciamo al suo destino. Poi si vedrà che succederà quando si
accenderà la luce e gli scarafaggi in cucina cominceranno a scappare in tutte le direzioni.
Si riparte dal poco che abbiamo raccolto. Senza finanziamenti che non siano quelli che
tireremo fuori dalle nostre tasche. Avremo, finchè potremo, un nostro “organo
d’informazione”, rappresentato da Pandoratv.it. Ci siamo dotati di un sito (che sarà la nostra
pagina ufficiale) e di una pagina Facebook per la comunicazione sui social.
Abbiamo costituito una Segreteria Nazionale Provvisoria (SNP) che ha svolto il lavoro
preliminare, insieme a un Segretario Nazionale Provvisorio anch’esso. Entrambi dovranno
diventare permanenti e dovremo eleggerli già oggi. Organizzativamente dovremo definire
una struttura, anche territoriale, dove saremo presenti, un tesseramento (che sarà la nostra
unica fonte di finanziamento, almeno per ora) e la definizione di uno statuto che regoli i
rapporti tra gli iscritti e i dirigenti che si saranno dati collettivamente.
Almeno cinque organizzazioni territoriali sono ancora funzionanti, seppure piccole:
Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Campania. Altre, come le Marche, la Sicilia, la
Lombardia, il Friuli, danno segni di vita e di interesse. Vedremo. Il resto ce lo dirà il quadro
generale nel quale tutti ci troveremo. (2 dicembre 2018)

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