I Lunedì del Laboratorio. Stasera si recita a soggetto.

Di Alberto Melotto

Segretario organizzativo di AlterLab.

A distanza di oltre un mese dalla drammatica fine del governo di coalizione formato da Movimento Cinque Stelle e Lega, possiamo tentare un’analisi che non sia viziata dall’emozione del momento. Drammatica, dicevamo. Chiunque abbia assistito, porgendo gli occhi e le orecchie, alla rappresentazione degli eventi, parlamentarizzata, ovvero avvenuta, a più riprese, in più atti, nelle aule del  Parlamento nazionale, concorderà sul fatto che la sensazione di trovarsi ad una messa in scena teatrale fosse fortissima. Il che non significa, necessariamente, voler alludere ad una volontà di nascondere chissà quali propositi segreti dietro un’ipocrita facciata che mostrasse altro. Qui intendiamo “drammatica” nel vero senso della parola, ovvero lotta, scontro di caratteri, di personaggi, in uno spazio fisico e temporale circoscritto e delimitato, proprio come nella tragedia greca.

I dibattiti fra Camera e Senato hanno messo in luce rancori a stento repressi per mesi e mesi, finalmente venuti alla luce, come lava di vulcano in eruzione. Ciascun personaggio ha badato a implementare le proprie peculiarità, fin quasi a rischiare, ad osare la caduta nell’auto-parodia. Così Salvini che bacia stolidamente il crocefisso mentre il suo (ormai ex) Presidente del Consiglio lo rimbrotta aspramente, accusandolo di utilizzare la fede nel cattolicesimo come strumento di propaganda elettorale. Così lo stesso Conte che ripropone, estremizzandolo, il personaggio dell’astuto, sottile, Azzecagarbugli, capace, con l’uso sagace di un eloquio forbito, di ribaltare ogni credo e ogni impegno, elogiando gli acerrimi nemici di ieri, i piddini, e costruendo un muro di calmo e misurato sdegno verso gli ex-amici leghisti.

Ciascun personaggio ha badato ad addossare a qualcun altro, la colpa di una crisi di governo, comunque inusuale, nel nostro paese, almeno in piena estate, e con la Legge di Bilancio da approvare alle porte. Resta il fatto che, in questo momento storico-politico, ogni tentativo, da parte di centro-sinistra, centro-destra e Cinque Stelle,  di riaffermare una propria specificità da poter sbandierare agli elettori italiani come vessillo di purezza, di originalità, andrà a cozzare contro un dato di fatto incontrovertibile: il fatto che ci troviamo in un sistema partitico tripolare, e che quindi alleanze di qualche tipo sono assolutamente indispensabili alla formazione di una maggioranza parlamentare, e quindi di un governo.

Questo stato di cose si è palesato per la prima volta, ad urne aperte, appena conclusasi la votazione relativa alla Politiche Nazionali del 25 febbraio 2013. Apparve chiaro in quel preciso momento che, il ventennio della dicotomia fra berlusconismo e anti-berlusconismo era ormai definitivamente alle spalle. La coalizione di centro-sinistra, guidata da Bersani, ottenne un risultato appena discreto, alla Camera, il 29,55%, di poco superiore a quello della coalizione di centro-destra, ovvero il 29.18%. Il Movimento Cinque Stelle   colse un epocale exploit raggiungendo la percentuale del 25,56%. La legge elettorale, a firma del leghista Calderoli, più nota ai più come Porcellum, fini per un classico caso di eterogenesi dei fini, per premiare il Partito Democratico, che acquisì in tal modo una quantità di parlamentari del tutto sproporzionata al suo reale risultato elettorale. Ciononostante, il partito di Bersani non poteva contare su una maggioranza autonoma alla Camera e al Senato, e dopo l’infelice e tormentoso abbozzo di dialogo con il Movimento Cinque Stelle, velocemente buttato alle ortiche dall’intransigenza grillina, si giunse all’espediente del cambio di casacca di una parte  del blocco berlusconiano, con il delfino Alfano che abbracciò i governi di centro-sinistra, varando un’inedita maggioranza che, pur con l’avvicendarsi tra Letta e Renzi e tra Renzi e Gentiloni, giunse fino alla conclusione naturale dei cinque anni di legislatura.

Qualcuno ricorda ancora le accuse di tradimento mosse da Silvio Berlusconi al suo figlioccio Angelino Alfano? Cosa fatta, capo ha. Identico destino ipotizziamo per le accuse reciproche tra pentastellati e leghisti.

Intendiamoci, siamo ben consapevoli che la fidelizzazione dell’elettorato italiano non è paragonabile a quella della Prima Repubblica, quando nel quasi mezzo secolo tra la fine della guerra mondiale e il crollo del Muro di Berlino, i partiti sapevano di poter contare su parti di elettorato già ben indirizzate verso questo o quel partito. Negli anni dei partiti politici di massa, quando la partecipazione, la militanza, erano ben altra cosa rispetto al deserto attuale, era lecito aspettarsi di norma, minimi cambiamenti, nel gradimento elettorale, almeno per i nostri standard odierni. Insomma, poteva capitare che un partito, soprattutto se medio-piccolo come quelli cosiddetti del pentapartito, gioisse fino al parossismo per uno 0,5% di voti in più (reclamando poi un ministro o un sottosegretario in più) e viceversa cadesse nel più cupo sconforto per uno 0,5 di voti in meno (con conseguente resa dei conti interna, cambio alla segreteria).

Oggigiorno il voto di appartenenza, non regna più incontrastato, anche se è ancora forte in alcune zone del paese, pensiamo alla Lombardia e al Veneto leghisti. Si potrebbe parlare quindi, dell’ascesa di un voto di opinione, se non fosse nella maggior parte dei casi, una scelta di voto approssimativa, superficiale, quasi casuale e comunque priva di un’autentica analisi preliminare, impossibile in una nazione nella quale non ci si informa adeguatamente e dove i media svolgono scientificamente il compito di produrre un vuoto, sterile chiacchiericcio.

Sono in molti a credere, che la situazione fin qui descritta potrà mutare radicalmente, attraverso la scomparsa del Movimento Cinque Stelle. Personalmente, ritengo che questo possa essere uno degli scenari possibili, ma non l’unico, e comunque di certo non a breve-medio termine.

Dallo “splendido isolamento” della scorsa legislatura, il M5S è passato ad un cambio di partner che ha prodotto due governi diversissimi tra loro, quando è trascorso appena un anno e mezzo dall’inizio della presente legislatura.

Al di là della patente contraddizione, al limite della schizofrenia, implicita in simili decisioni, quel che colpisce maggiormente è la mancanza di una strategia sottesa a questo tipo di svolte, e ancor più l’incapacità di saper comunicare al proprio elettorato, e all’intera opinione pubblica, di essere in grado di convincere chi è contrario.

Probabilmente, queste nostre stesse considerazioni sono figlie di un equivoco che si è protratto per diversi anni, ovvero che il Movimento di Beppe Grillo avesse creato ed elaborato al proprio interno nuove istanze della politica, talmente fuori dagli schemi passati da essere in grado di rivoluzionare il panorama politico-partitico. Ma della chiara volontà di uscire dall’asfittico sistema dell’Unione Europea e dell’euro, di spezzare il funereo paradigma delle grandi opere come volano dell’economia, di liberare l’italia dal tallone della dominazione militare statunitense, che cosa è rimasto? Nulla, come se questa piattaforma politica fosse l’abito splendente che un parvenu indossa, in affitto, per una serata di gala, e che poi è costretto a restituire al primo apparire dell’alba. Ossessivamente, sono rimasti al centro dell’azione politica pentastellata una serie di provvedimenti di corto, cortissimo respiro, come l’abolizione di un certo numero di parlamentari, che non sappiamo se attribuire al piano della Loggia P2 o al tipico discorso da antipolitica da bar dello sport innalzato a feticcio.

Quanto detto finora sembrerebbe dar ragione a chi pensa ad una rapida e ingloriosa mattanza elettorale dei grillini. Pensiamo però, che una serie di fattori potranno ritardare questo processo, peraltro largamente auspicabile. Prima di tutto, l’evidente intenzione dei capi pentastellati di mutare pelle, da partito anti-sistema ad una sorta di partito di centro del ventunesimo secolo, capace di dispensare mance a sinistra e rigori a destra, potrebbe rivelarsi non svantaggiosa, nell’ottica del rivolgersi ad un elettorato ormai privo di orizzonti ideali e dedito alla faticosa e umiliante conquista quotidiana della pagnotta, ormai avvezzo a pensare alla politica come il suddito pensa al padrone, soprattutto incapace di pensare al momento delle elezioni se non dei termini del consumatore che si accinge a scegliere fra diversi tipi di scatolette al supermercato.

Inoltre il presente governo potrà contare sul collante dell’anti-salvinismo, ovvero sulla promessa di una ritrovata serenità quotidiana, non più caratterizzata da messaggi ansiogeni nei tg della sera, di navi di migranti ferme al largo delle nostre coste, e questo grazie alla pelosa e interessata collaborazione dei vertici europei, che provvederanno per un certo tempo a calmierare gli arrivi dal Nord Africa. Sarà persino possibile una moderata, molto moderata, flessibilità sui conti pubblici, che avrà esiti non molto diversi da quelli causati dallo sfoggio muscolare del governo appena defunto, ovvero la possibilità di elargire quelle elemosine di Stato di cui sopra, tutt’altra cosa rispetto alle reali necessità di persone adulte e dotate di dignità.

La caduta del governo giallo-verde ha perlomeno dissipato, o perlomeno questo è il nostro auspicio, il falso convincimento che potesse nascere, dal connubio di questi due partiti, un’azione “sovranista” e dedita al superiore interesse della nostra nazione, al di là delle evidenti diversità dei due programmi di governo. Di fronte a meri interessi di parte, si è sfaldata un’alleanza di governo, che pure aveva causato preoccupazioni fra quei burocrati e tecnocrati che tengono in scacco le vite di centinaia  di milioni di persone, a dimostrazione di quel che potrebbe fare un governo autenticamente dalla parte del popolo italiano. Occorreva, d’altro canto, muovere guerra al cielo di Bruxelles, armati di idee più vincenti che non fossero quelle di regalare miliardi di euro in tasse da non pagare ai grandi gruppi industriali e finanziari, com’era e com’è negli intendimenti di chi intende applicare la flat tax.

Che cosa avrebbero potuto significare la flat tax e l’autonomia amministrativa regionale, una volta attuate, se non lo sfascio delle finanze pubbliche e parallelamente, il totale atrofizzarsi della spesa sociale, con persone anziane costrette a pagare per una semplice visita del medico di base, similmente a quanto accadde nella Russia eltsiniana?

Affermiamo tutto questo, ben sapendo, che riportare al governo il Partito Democratico costituisce un atroce indebolirsi delle nostre difese, un consegnare una volta di più le nostre esistenze ai maggiordomi di un nemico estremamente potente ed invasivo, che già nei giorni dell’insediamento del nuovo governo ha fatto schioccare la frusta, con la chiusura degli account Facebook e Instagram di CasaPound, Forza Nuova, e RussiaToday.

Semplicemente, occorrerà d’ora in avanti diffidare di tutte le possibili varianti e opzioni della politica del Palazzo, anche a costo di essere tacciati di qualunquismo. Occorre liberare i nostri concittadini da quella cecità che impedisce di cogliere tutti i rischi legati alla propria sopravvivenza, nel vero senso della parola. In altre parole, non esistono scorciatoie percorribili che non contemplino e adottino una severa volontà di arricchimento della propria preparazione culturale e politica. Parallelamente, poiché il tempo rimastoci è poco per modificare a nostro favore lo stato delle cose, occorrerà che dal meglio della militanza politica, possa nascere un soggetto politico in grado di fungere da autentico baluardo, da casamatta gramsciana, rispetto allo strapotere dei padroni globali. In questa direzione, occorrerà che tutti i soggetti già esistenti sappiano dialogare fra loro senza spocchia o pretesa di dominio.